1Dedico queste righe a un veterinario ora in pensione al quale, malgrado i tanti anni passati, sono ancora oggi profondamente affezionata e soprattutto grata.
Grata per la sua professionalità, disponibilità, umiltà e generosità. Un professionista mai stanco di dare informazioni in quantità e qualità. Se la mia passione per le altre specie è ancora viva come il primo giorno, sicuramente lo devo anche a lui.

Tutti i proprietari detti “medi” come me, è risaputo,  parlano tra loro. In questi ultimi anni ho notato che l’argomento più frequente sono le esperienze non sempre felici con i veterinari. Proprio perché “racconti” e perché non sta a me alcuna forma di valutazione, lascio da parte episodi disonesti, sia di alcuni veterinari sia di un certo tipo di proprietari. Il fenomeno riportato dal mio piccolo campione di umani-proprietari mi ha incuriosita molto, soprattutto perché non risponde affatto alla mia esperienza, sia passata che presente. Per lo più le lamentele si riferiscono alla difficoltà di ricevere notizie sulla cadenza dei vaccini ed eventuali controindicazioni, sull’approssimazione nel fornire spiegazioni in merito all’alimentazione, scarsa informazione sulla prevenzione, sugli effetti collaterali di alcuni farmaci, una certa leggerezza nel prospettare le implicazioni delle operazioni, del post operatorio e via di seguito. Riassumendo, la mia piccola rappresentanza di proprietari lamenta scarsa attenzione, una sorta di «atteggiamento routinato» e  un «certo silenzio». L’esclamazione più frequente è: “ma perché non mi è stato detto che…?” Fino ad arrivare a pensare di dover tutelare gli animali proprio da chi è preposto a curarli. 

Data la mia esperienza positiva, mi sono chiesta come mai ultimamente sento descrivere i veterinari come persone «distratte» e apparentemente poco inclini a sopportare la loro missione. Sono cambiati i veterinari? Siamo cambiati noi? Sono cambiate le malattie? O cosa?
Ho quindi pensato di chiedere ad un altrettanto piccolo campione di veterinari la loro versione che ora vi riassumo, spero fedelmente.

Riscontrano la tendenza della maggior parte di noi di arrivare da loro già convinti “della diagnosi”, spesso suggerita da “chiunque”: allevatore – educatore – farmacista – amico – vicino di casa e così via, affermano la difficoltà dei più ad accettare quello che viene  detto, la difficoltà a seguire le prescrizioni, per mancanza di tempo o di metodicità, la tendenza al “fai da te”, la difficoltà ad accettare che curare un animale implica, oltre alla gestione del dispiacere, tanta dedizione e tanta consapevolezza. La risposta più frequente che si sentono dare è: “e dove lo trovo il tempo?” Questo sembra portare la categoria ad una sorta di demoralizzazione, che induce spesso a non “sprecare fiato inutilmente”. Fino, a volte, scegliere la soluzione detta «del male minore» per l’animale, con lo scopo di tutelare gli animali proprio da noi che li amiamo tanto.

I proprietari lamentano la mancanza di informazione.
I veterinari  lamentano la  mancanza di ascolto.

Tentare di capire se sia nato prima l’uovo o prima la gallina, servirebbe? No. Di fatto però, se quanto mi è stato raccontato risponde a verità, qualche problemino c’è.
Comprendo la necessità da parte del medico veterinario di doversi occupare anche della “disponibilità”, sia pratica che emotiva del cliente umano ma, un conto è essere attenti alla sensibilità e alle capacità del proprietario, altro conto è arrendersi e arrivare a pensare “tanto è inutile parlare”.
Trattandosi di “vite” è mia personalissima opinione che dare informazioni complete sia sempre dovuto. Quello che ne faranno i proprietari sarà loro responsabilità. 

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Proprietari facciamo attenzione!!! Quello che ho compreso da questa piccola indagine è che crearci degli alibi, nasconderci dietro false giustificazioni può essere “comodo”. Può essere un balsamo per il nostro dispiacere, per i nostri eventuali piccoli sensi di colpa, per le nostre piccole frustrazioni, per la nostra pigrizia, ma non è utile ai nostri animali. Gli animali toccano la nostra sfera emotiva e va bene, toccano la nostra “tasca” e va bene, ma invece di lamentarci forse è indispensabile crescere un po’. Proviamo ad interagire con maggior consapevolezza, perché il bene o il simil-bene non bastano a curare.
I veterinari da noi possono ricevere molte informazioni utili. E’ importante raccontare con sincerità e onestà «vita, abitudini e gestione» dei nostri animali. Dichiarare quello che facciamo, quello che non facciamo e anche quello che non siamo e non saremo disposti a fare.
E’ importante fornire indizi corretti ed è importante pretendere informazioni complete.

Ammesso che le mie conclusioni abbiano una qualche fondatezza, quello che mi spaventa è la possibilità che, tra le tante difficoltà, questa della mancata/parziale comunicazione, possa involontariamente agevolare il famoso “dividi e regna”, possa permettere che tra animali, bravi veterinari e bravi proprietari si infiltri un quarto elemento,  il più pericoloso: il business, nella sua accezione peggiore.
Secondo voi, si può affermare ancora una volta che l’arte più difficile del mondo è “l’arte di comunicare”?

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