C’era una volta la metrica.
Si dice spesso che la musica sia molto simile alla matematica perché instaura una serie di rapporti numerici tra i suoi diversi elementi: basti pensare all’armonia (?), all’analisi formale (??), al basso cifrato (?????), per capire quanto i numeri siano una fondamentale presenza nel mondo musicale.
Per raggiungere lo scopo di questa piccola dissertazione, tralascerò la matematica per chiedere invece aiuto alla metrica, a quell’insieme cioè, particolare e definito, di principi ritmici che regola la successione di sillabe lunghe e brevi secondo schemi prefissati.
In parole più semplici, e che i linguisti mi abbiano in grazia, la metrica è quella disciplina che si occupa(va) di costruire un’alternanza di tempi forti e tempi deboli per regolare la recitazione o il canto in quelle lingue, come il greco per esempio, dove l’accento naturale era melodico e poco intensivo e non possedeva quindi una forte cadenza.
Quest’accento ricreato può essere definito come accento metrico.
Se avete bisogno di un attimo per bere un latte di cocco, una centrifuga o qualsiasi cosa che vi ristori fate pure ma per quanto non possa sembrare, è più semplice di quanto immaginiate.
Pensate, mentre bevete, a un coro greco nell’atto di recitare e al suo corifeo, una sorta di direttore, che segnali l’inizio di una serie ritmica con l’aiuto della mano, del dito o del piede. Ecco, questi gesti e la loro alternanza non sono altro che il richiamo all’alternanza degli accenti deboli e accenti forti del testo recitato, definiti come arsi e tesi.
Arsi significa letteralmente innalzamento (della mano, del piede o del dito del direttore) e si riferisce al tempo debole, tesi invece, significa poggiamento (sempre del piede, della mano o del dito del direttore) e indica al contrario il tempo forte.
In epoca moderna c’è stato un ribaltamento dei riferimenti ai due termini (invito chiunque volesse averne un’esemplificazione a leggere il capitolo XXVI dello scritto di Giovanni Piana, Barlumi per una filosofia della musica) ma, in questo contesto, tralasciamo la disputa e fissiamo come assunto che il tempo o accento forte musicale corrisponde alla tesi mentre quello debole, quindi il levare, all’arsi.
Dite, ma che c’entra questa cosa con la danza?
Proviamo a capirlo insieme.
Il ritmo musicale è caratterizzato, come in metrica, da un susseguirsi regolare di accenti forti e deboli, da una serie quindi di battere e levare, di tesi e arsi.
Si tratta, e ormai credo sia abbastanza chiaro, di forze in equilibrio, di tensioni preparate e tensioni scaricate che dipendono le une dalle altre e che formano un flusso continuo di movimento.
Nella terminologia della danza si usano spesso le espressioni in su e in giù, in fuori e in dentro: queste espressioni, ed eccoci al punto, si riferiscono alla dinamica dei passi in relazione agli accenti forti e deboli.
Facciamo un esempio semplicissimo: analizziamo i movimenti di una camminata, un semplice alternarsi di passi.
Così come il piede del direttore prima citato eseguiva fisicamente con il movimento l’arsi e la tesi per dirigere la perfomance del coro, il nostro piede si poggerà per terra in una tesi, e quando si solleverà per lasciare il posto all’altro, lo farà in un’arsi. E così via.
Se camminando avessimo in cuffia una canzone, la tesi e l’arsi del movimento combacerebbero in modo naturale con quelli musicali, senza dubbio. Questo a sottolineare la stretta relazione tra la dinamica fisica del movimento e quella musicale.
Andando oltre, visto che a noi piace distinguerci ed essere fuori dal coro, potremmo decidere di invertire la corrispondenza tra movimento e musica, di camminare cioè spostando la tesi del movimento sull’arsi della musica e il contrario.
Forse non al primo tentativo, forse non al secondo ma riusciremo a un certo punto a camminare non pro ma contro-tempo. La sensazione sarebbe molto simile, e qui i danzatori possono confermare, al salto in su.
Ci troveremmo cioè a fare un diverso lavoro fisico e muscolare, proprio perché ‘naturalmente’ il corpo è chiamato a fare altro al punto che, per riuscirci, dovremmo operare anche un notevole sforzo mentale.
E siamo così arrivati alla conclusione di questo ragionamento epifanico.
La musica è fortemente caratterizzata dall’alternanza di tempi forti e deboli e questi richiamano nel corpo una dinamica di movimento precisa. Alcuni esercizi possono essere eseguiti seguendo questa dinamica o contrapponendosi a essa (ne parleremo nello specifico nel prossimo articolo) così come parte di una coreografia potrebbe essere costruita in antitesi alla metrica come scelta espressiva.
Ciò che è importante tenere presente è che la dinamica del lavoro fisico è strettamente correlata a questa caratteristica musicale: una volta compresa sarà un apporto fondamentale per una più completa crescita fisica e mentale del danzatore.
Molto utile per chi studia e chi insegna danza
Grazie Michela!